Capelli scuri, sorriso sincero e occhi grandi dal color nocciola, come la “tonda” di Giffoni che ama tanto e che utilizza spesso nelle torte, rigorosamente fatte in casa da lei, insieme alla mamma che supervisiona tutto: «Ho imparato tutto da lei, quindi, quello che so lo devo alla chef di casa».
Ci accoglie così Mariangelica Sica, all’ingresso de L’Incartata, una residenza rurale a conduzione familiare immersa nel Parco Regionale dei Monti Picentini, che nel fine settimana si trasforma in un agriturismo a km0 o meglio, a m0.
«È stato mio fratello a fare il primo passo, perché lui aveva questa grande passione e tutti noi in famiglia lo abbiamo sostenuto, perché sapevamo che sarebbe stato felice così». Con queste parole dirette e un po’ spiazzanti, Mariangelica ci fa accomodare in sala dove ci aspettano il proprietario della tenuta, Michele, e mamma Anna con i caffè pronti e due torte, una al wiskhy, arancia e cioccolato e un’altra ricoperta di glassa al limoncello «senza burro, così anche chi è intollerante potrà mangiarla».
Mariangelica noi l’abbiamo conosciuta per la prima volta nel 2018, durante il corso Il Cuoco Contadino, finanziato dalla Regione Campania e sostenuto dall’Università degli Studi di Salerno. Distintasi, è stato lo stesso chef Pietro Parisi a darle la possibilità di migliorarsi nella cucina del suo ristorante di Palma Campania, Villa Giudy, e a farle fare un primo grande passo durante l’evento “Taste of Sunshine – Una settimana di cucina cinese e italiana in armonia” che ha visto coinvolta l’Associazione Il Cuoco Contadino in un progetto gastronomico di conoscenza e divulgazione della Dieta Mediterranea partito dall’isola di Zamalek, Egitto, fino ad arrivare a toccare tutti i porti della famosa via della seta in cui attraccò Marco Polo.
All’inizio molto timida, oggi travolgente ed esuberante anche se «molto pignola», Mariangelica si è subito distinta per la sua maestria nella pasticceria. Cavallo di battaglia, la Caprese alle nocciole, nonostante – come da subito confessa – all’inizio si era sentita fortemente dubbiosa e spaventata «perché mamma mi ha sempre detto che non importa come va la cena, tutti si ricorderanno del dolce perché è l’ultima cosa che mangeranno». Invece, poi, a darle la spinta conclusiva è stata proprio lei, la signora Anna, insieme a tutta la famiglia, sicuri che sarebbe cresciuta e che avrebbe imparato tanto.
«Bisogna fare di necessità virtù – dice – così come quando abbiamo trovato ingredienti talmente diversi dai nostri, l’istinto era l’unica alternativa da utilizzare, insieme alla fantasia. Allo stesso modo bisogna comportarsi nella vita di tutti i giorni. Anche a Il Cairo, bisognava farsi forza su questo mantra, perché il gruppo era nuovo, ma io subito mi sono trovata bene e in sintonia con la chef (Nausica Ronca, ndr) mentre con lo chef Parisi avevo già lavorato e quindi sapevo come muovermi. Volevo tornare a casa carica non solo di regali per i nipotini, ma di cose belle da raccontare e devo essere fiera di me stessa per aver saputo vivere al meglio questa prima esperienza “da grande”. Associo molto la cucina ai ricordi e per me è necessario che sia emozionale, per questo volevo essere in grado di suscitare anche nei commensali un ricordo, dell’Italia e delle mie radici e dell’amore che metto in cucina, lo stesso che da piccola mi faceva sognare di aprire una sala da the».
E come per magia, mentre lei parla, l’atmosfera si riscalda, anche se fuori fa ancora molto freddo, ma a Calvanico (SA) è normale, essendo in altura (550 m slm). Nell’aria si respira la passione che questa famiglia ha per la propria terra e per la cultura del cibo buono non solo qualche giorno a settimana, ma sempre, perché bisogna mangiare bene tutti i giorni. Una tradizione da tramandare e un lavoro duro che inizia qualche anno fa, nel 2013, quando uno dei suoi componenti, Michele, un giovane esperto del marketing e della comunicazione in trasferta nella capitale per lavoro, capii che qualcosa nella sua vita non stava andando per il verso giusto.
«Sentivo che mi mancava qualcosa e quando tornavo a casa iniziavo a coltivare il mio orticello e pensavo a cosa poter coltivare la volta successiva e quella dopo ancora. Sapevo che sarebbe stata un’occasione da prendere al volo, senza pensarci su troppo».
Un pensiero profetico, visto che di lì a poco avrebbe trasformato il sogno in realtà, trasferendosi, insieme alla futura moglie, al piano superiore della residenza, una piccola tenuta a pochi metri da casa dei suoi. Ad aiutarlo mamma e papà e i suoi fratelli, ognuno con un proprio compito specifico e diversificato per essere performanti in tutto. Punto di forza, le farine da loro prodotte e base di tutti i prodotti da forno che hanno portato alla formazione della cumparete Monte Frumentario, una filiera dei cereali antichi che lega tanti produttori del settore, ma che loro amano definirli “Grani del Futuro” perché «è una sfida che ci prefissiamo per il futuro e che continuiamo a coltivare portandoli avanti con una spinta innovativa», visto che la parola “grano antico” è abusata. È un modo provocatorio di far conoscere e comprendere il lavoro di tanti piccoli produttori che giorno dopo giorno portano in tavola prodotti naturali e macinati a pietra.
Proprio a Caselle in Pittari (SA), infatti, nasce la cooperativa Terra di Resilienza, sede del mulino a pietra per macinare i grani, dove la terza domenica di luglio prende vita la grande festa “Palio del grano”, una gara di mietitura che dà origine a gemellaggi e cooperazioni e collegamenti di realtà diverse che insieme si danno forza e supporto. «Con questa rete è possibile coltivare i cereali a Salerno e in tutta la regione, farli confluire in un unico posto, macinarli a pietra e utilizzarli nelle nostre realtà seppur piccole».
Una realtà di aiuto anche per coloro che sono affetti da particolari fragilità, al fine di includerli nella società e dar loro modo di sviluppare capacità pratiche e di socializzazione perché – come continua Michele – «il nostro lavoro viene fuori da un impegno collettivo, di gruppo. Non è “io produco” e “io faccio”. Noi abbiamo voluto costruire un gruppo in cui tante persone non siano costrette a cercare lavoro altrove perché, soprattutto al Sud e nell’entroterra in particolar modo, lo spopolamento è elevato e in costante crescita e questo comporta la chiusura delle piccole aziende agricole. Noi, invece, vogliamo sottolineare il lavoro lento, l’identità e l’origine dei prodotti che ci contraddistinguono. Una vera e propria resilienza, insomma».
Una filosofia che ha trovato il pieno consenso della Condotta Slow Food dei Picentini di Pontecagnano e che si rispecchia nel menu, “fisso” la domenica, ma in continuo stravolgimento settimana dopo settimana, per evitare di spingere su alcuni prodotti e al contempo rispettare la stagionalità di ciò che viene servito. L’unico piatto sempre presente è il famoso “Mallone alle erbe spontanee” che – come dice il nome – si diversifica in base alle erbe che l’orto regala di volta in volta.
L’ideologia di Michele e della sua famiglia è stata apprezzata anche dai clienti, sicuri di trovare prodotti di alta qualità e bevande senza coloranti: sono vietati, infatti, bevande gassate ricche di zucchero e coloranti artificiali. Vino e birra sono artigianali e “della casa” perché – anche in questo – L’Incartata si rifornisce da un piccolo imprenditore vitivinicolo della zona che sposa la loro idea del less is more, così come avviene per le birre. Convincenti al punto da essere premiati e sponsorizzati da Slow Food per la realizzazione di un mega concerto che si tiene ogni estate (da già cinque anni) nel loro spazio esterno: nasce così FOODSTOCK, in collaborazione con un’etichetta di musica indipendente di Cava de’ Tirreni, la XXXV, e sulla scia dell’impatto zero, perché – conclude Michele – «Una scelta, per essere convincente e credibile, deve essere totale. Soprattutto oggi è necessario essere coerenti in quanto Internet lo sa se stai agendo in mala fede e ti smaschera subito, mentre ti premia se sei sincero».
Noi confermiamo.